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A proposito di Innovazione, FOMO e talenti

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Siamo entrati nel 2023, buon anno a tutte e tutti!

Come cominciare meglio l’anno se non parlando di innovazione, termine affascinante e spesso fuorviante nel suo utilizzo ma che tutti noi vediamo come un obiettivo chiave nelle nostre aziende?

L’INNOVAZIONE E IL “FOMO”

Lo spunto per questo post mi viene sia dalla rilettura di un mio vecchio contenuto sia dal quasi contemporaneo ascolto di un podcast di AWS, dal titolo “FOMO in the C-Suite”. L’acronimo FOMO sta per fear of missing out, letteralmente: “paura di essere tagliati fuori”. Indica una forma di ansia sociale caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con le attività che fanno le altre persone, e dalla paura di essere esclusi da eventi, esperienze, o contesti sociali gratificanti (fonte: Wikipedia).

Questo tema del FOMO si presenta spesso come problema nelle organizzazioni, specie a fronte di un hype mediatico molto intenso su numerosi temi di emerging technology: si fanno le cose presi dall’ansia di essere arretrati rispetto ai concorrenti, che d’altra parte spesso pensano la stessa cosa alimentando una corsa destrutturata a soluzioni come Web3, Blockchain, Artificial Intelligence e molto altro.

Il primo problema è che le aziende normalmente non sono dei laboratori di ricerca ma devono produrre soluzioni di valore, spesso questo processo viene affrontato con una notevole sottovalutazione delle possibili difficoltà.

Il risultato? Molte aziende non stanno ottenendo il ROI che avevano sperato: secondo un sondaggio GetApp su 301 marketer, il 65% di coloro che hanno risposto vedono in queste tecnologie grande ispirazione ma, in quasi la metà (49%) dei casi, ci sono state sfide importanti per problemi di integrazione, complicazioni di governance e costi. Le tempistiche non sono uguali in tutti i casi. Ad esempio c’è più fiducia nei chatbot (69% degli intervistati segnala il ROI in meno di due anni), realtà virtuale/realtà aumentata (60%) e intelligenza artificiale/apprendimento automatico (59%). Al contrario, i rendimenti positivi sulla tecnologia blockchain richiedono più tempo: il 42% delle persone che utilizzano questa tecnologia afferma che ci vogliono 2-5 anni per generare un ROI positivo.

Il tema però ovviamente non è solo il quando si raggiunge un risultato positivo. Il punto è come raggiungerlo.

L’INNOVAZIONE DEVE ESSERE CHIARA E CONDIVISA

Quando si fa innovazione molto spesso ci si dimentica la domanda più semplice, ossia il perché stiamo facendo una certa scelta, da cui deriva poi in modo sano il come si applicano le cose, evitando il mero copy and paste e l’effetto “bambino nel negozio dei dolci” dove si vorrebbe prendere tutto quello che si vede sullo scaffale della tecnologia.

Questa bulimia porta spesso a investimenti che richiedono tempo ma che poi spesso, per lo stesso approccio, sono superati dalla corsa alla novità: nel podcast si fa l’esempio calzante dell’adozione del cloud cui, mentre è ancora tutto in corso, si sovrappone un altro progetto di multicloud, senza portare a niente e continuando a spostare avanti l’asticella a vuoto, mentre i veri scopi della tecnologia sono ridurre la complessità (non aumentarla) e creare differenziazione.

Avere cicli più brevi con delle revisioni frequenti basate sui dati invece permette di progredire (e sbagliare entro i limiti corretti), sapendo anche che però l’agilità richiede disciplina, e non il contrario. Il processo di innovazione non deve essere ingessato eccessivamente ma contemporaneamente deve esserci un programma e non può essere semplicemente lasciato dello spazio all’inventiva, occorre scegliere le modalità e portarle avanti nel tempo correggendo dove è necessario.

Inoltre, se sai perché fai determinate cose sei anche più flessibile nel correggere il tiro: per questo, avere chiaro lo scopo è utile a tutti i livelli dell’organizzazione e conoscere i pezzi del puzzle è importante, come scrivevo qui gli obiettivi vanno condivisi e devono essere chiari, in modo da passare da un modello basato sul task puntuale ad uno dove tutto sanno dove devono andare, anche senza il micromanagement.

Altrettanto fondamentale è la centralità delle persone nel disegno, siano esse clienti o dipendenti, attorno ai quali va costruita la tecnologia migliore (e non viceversa) per raggiungere gli obiettivi.

Come ho scritto di recente qui l’unica vera chiave di lettura, per un oggetto fisico come per un servizio in cloud, è il senso ultimo che il cliente attribuisce alla sua relazione con l’azienda, e in questo nemmeno Web3 e Metaverso fanno eccezione.

IL TEMA DEI TALENTI

Collegato alla centralità delle persone non si può non toccare il tema dei talenti, dove tipicamente la frase che si sente spesso dire è che “non abbiamo le persone giuste”.

Probabilmente, questo può essere vero per qualche competenza di nicchia ma, come dice giustamente il podcast di AWS, se un’azienda è sul mercato da anni non può essere totalmente carente di persone e di punti di forza interni.

È quindi fondamentale scatenare il potenziale di chi abbiamo già in casa, i dipendenti sono un’arma fondamentale per la trasformazione e sicuramente conoscono il business della propria organizzazione meglio di chiunque altro.

Queste persone assorbono però la cultura aziendale e quindi occorre agire con un approccio di role model, dove anche gli incentivi (economici ma anche di altro tipo) siano coerenti, non scoraggino il pensiero creativo e non invogliano a “fare ciascuno i fatti propri”.

Per questo ritengo non certo da oggi che quello della comunicazione interna diventi sempre di più uno dei campi di battaglia cruciali della digital transformation, per non parlare poi della digital fluency e dell’importanza del linguaggio.

Si potrebbe obiettare che chi ha un punti di vista interno fatichi a vedere opportunità di innovazione ma, come si dice nel podcast e come avevo scritto anche io nel 2015, trasformare non vuole dire per forza rifare tutto da zero ma molto spesso è invece evolvere ciò che si ha, dando spazio alle proprie risorse interne e alle loro idee di miglioramento.

Non mancano, infatti, gli aneddoti di dipendenti inascoltati all’interno di molte delle aziende che sono citate come casi di fatale miopia rispetto al cambiamento come Kodak, Blockbuster, Nokia ed altre ancora.

Quindi, dal mio punto di vista, chi guida e accompagna il cambiamento deve avere una profonda capacità di empatia, ascolto e collaborazione oltre che la conoscenza nel dettaglio di come funziona l’organizzazione e dei relativi processi per calare all’interno della realtà le opportunità tecnologiche.

In conclusione, l’argomento è sufficientemente vasto da poterci scrivere dei libri, ma spero che queste brevi e veloci riflessioni possano accendere qualche spunto utile all’inizio di un nuovo anno.

Un buon 2023 di innovazione a tutti!


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